lunedì 15 febbraio 2016

Approccio terapeutico cinese di Valentina Muto

Riguardo quello che si è detto ieri su approccio terapeutico cinese e approccio Pino Ferroni & Co ho trovato questo per caso e te lo devo assolutamente mandare, è specifico sul contesto lavorativo, ma mi ha aiutata a comprendere meglio. (L'ho tagliato un po' era lunghissimo).
Io l’ho tegliato ancora di più - Pino
"Lo stile cinese è contenuto e riservato a confronto con quello occidentale, che appare più aperto o diretto. La parola cinese per definirlo è hanxu, che infatti include i significati di “contenere, mantenere in serbo”, ma anche di “accumulare e risparmiare”.
Che cosa vuol dire? Significa che i cinesi preferiscono risparmiare parole, piuttosto che approfondirle, il che implicherebbe una perdita di senso e di valore. La preferenza della comunicazione implicita rende quindi possibile negoziare con gli altri i significati. I cinesi inoltre sono socializzati a non esprimere apertamente le emozioni, soprattutto quelle violente o negative, che nella loro tradizione medica associano agli stati patologici.
Un proverbio cinese dice huo cong kou shu, ovvero che “ogni calamità deriva dalla bocca”, fonte potenziale di pericolosi conflitti. E’ per la sensibilità cinese verso la conservazione di rapporti interpersonali armonici che si rende particolarmente importante un uso attento e prudente della parola…
Il silenzio mette a disagio noi occidentali, i cinesi invece tacciono per farci capire che abbiamo la loro attenzione. L’uso del silenzio, dell’ascolto e l’arte della pausa nel discorso possono essere un potente strumento negoziale, che noi siamo poco adusi a gestire. Anche l’osservazione critica è poco gradita, e non solo quando sia rivolta verso la controparte. Osservazioni critiche sulle linee di governo del nostro stesso Paese, sugli indirizzi di politica economica, sull’azienda per cui lavoriamo, sui propri colleghi o il proprio ordine professionale, alle quali a volte ci lasciamo andare a considerazioni più astratte, non sono comprensibili e disorientano i cinesi, che sono nazionalisti, dotati di spirito di gruppo e non comprendono un interlocutore che parli male del gruppo al quale appartiene o della propria nazione.
Spesso, rispetto alle modalità comunicative degli occidentali, rilevano di non capire bene se stiamo scherzando o parlando seriamente; di contro noi spesso non capiamo, quando i cinesi annuiscono o restano in silenzio, se stiano dicendo sì o no…


Ogni lingua porta con sé un bagaglio nascosto di presupposti: guardando alla superficie del discorso, inconsciamente siamo portati ad associarvi il nostro bagaglio, invece di quello di colui che sta comunicando. Questo bagaglio è il “sottotesto”: noi vi leggiamo il nostro invece che quello dei cinesi. E’ perciò che, per il fatto che essi non diano spiegazioni chiare e dirette o non dicano sì né no, è spesso interpretato come una mancanza di volontà di condivisione delle informazioni, piuttosto che come un orientamento di valore culturale, una abitudine antica volta da una parte alla strategia dell’osservazione invece che a quella dell’azione, dall’altra a non offendere l’interlocutore con dichiarazioni brusche e perentorie. I cinesi sono sensibilissimi e per loro “perdere” o far perdere “la faccia” è un evento gravissimo…
Per evitare questa rottura comunicativa, la parte cinese si aspetta che il partner comprenda intuitivamente il problema e, maturata dentro di sé questa percezione, indichi che ne è consapevole e quindi disponibile a venirne a capo, senza però esplicitarlo.


Faccio appello alle tavolette che tu Pino hai letto e commentato ad EnerTao, quindi non c'è approccio giusto o sbagliato in assoluto, ma c'è ciò che è più adatto alla persona in quel momento. Così hai risposto e mi sono risposta al mio quesito. Rimango dell'idea che, indipendentemente dalla cultura cinese/italiana/eccetera il concetto di contatto affettivo preesiste perché durante la gestazione siamo in un rapporto simbiotico, tutti, con la madre, perciò continuo a domandarmi come cavolo fanno questi Cinesi a non avere necessità di essere accolti eccetera e quindi di accogliere eccetera (riferendomi sempre all'approccio terapeutico). Vorrei conoscerli! Però non mi ricordo quando né e in che testo cinese citato in quale blog ho letto "dobbiamo accettare la nostra capacità di emozionarci".


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