Ho allora pensato di rispondere a Stefania (e a quanti leggono il mio blog) con il vissuto di più di sessant’anni della mia vita. E’ una poesia che ho scritto qualche anno fa per non dimenticare e per ricordare ai miei allievi che la via della serenità ha spesso percorsi difficili o tortuosi, ma, se non si smette di cercare e di sperare, alla fine si arriva a percorrere una strada più lineare e più gratificante.
Senza smettere comunque di continuare a cercare e sperimentare
Ho visto,
nei miei primi anni di vita, uccelli di lucido metallo
volteggiare nel cielo, tracciando incredibili scie di fuoco,
notti oscurate, sibili lunghi e lampi fragorosi,
giorni di giochi, giorni di pianti e di paura,
la sorpresa incredula negli occhi di un uomo
con la mano protesa verso quel cielo
che improvvisamente si era chiuso su di lui
e non ne aveva compreso il perché.
Ho visto,
nella mia fanciullezza, giornate di sole scintillare
tra variegate scaglie di mare e colline d’ulivi,
tra le rocce dure e salmastre della mia terra
sopra le quali lasciavamo scorrere l’estate
come languide e vigili lucertole assetate di calore
per non farci passare inavvertitamente accanto
la donna-amore che avrebbe spento il brivido lungo
che scuoteva il nostro sangue e le ossa.
Ho visto
il miracolo del vento che gioca con le vele,
lo sciabordio della prua che combatte con l’onda,
i salti dei delfini e i dorsi dei capodogli,
la luce retrocedere e il buio avanzare, e riempire i miei occhi,
mentre il mio corpo affondava in un baratro nero d’immobilità
senza capirne il perché, come quell’uomo antico
che implorava il cielo con un braccio levato
e una lacrima appena accennata nei suoi occhi di vetro.
Ho visto
in quei giorni la mia interiore capacità di aggrapparmi
a quel breve doloroso respiro che pungeva il cuore
(rantolo lieve di vento che fa sbattere le vele nei giorni di bonaccia)
come al bordo della barca quando si andava di bolina
o all’inarcare della schiena quando si planava al traverso
e trovare in quella immobilità nera un motivo,
perché non poteva finire così (c’era ancora tanto da fare),
e dopo quei lunghi giorni di silenziosa, solitaria battaglia,
sentire nuovamente entrare un fresco e sempre più profondo soffio,
brezza forte di tramontana che ritornava a gonfiare le vele
e accendeva sorrisi sui visi a me intorno.
Ho visto
labbra schiudersi palpitanti all’avvicinarsi delle mie
e donne accogliermi nel calore profondo del loro corpo,
tese, loro ed io, nell’estenuante tentativo di sempre,
di trovare la luce del vero amore pensato e sognato
e come i brevi successi sorgessero da quell’eterno fallimento
del non riuscire ad essere se stessi e cercare di sembrare,
finché, un giorno, il riflesso di una vetrina mi svelò la disperazione
che riempiva i miei occhi, il mio cuore e il mio corpo,
tronco vuoto e duro scavato di dentro, che cercava da sempre
uno spicchio di cielo sereno per l’anima piangente
e quell’immagine mi rivelò la via da percorrere.
Ho visto
le spiagge assolate della mia terra e di paesi lontani,
estranei oceani che lambivano coste ancora più estranee,
le bellezze racchiuse nello scrigno segreto del mare,
e il mio stare sospeso in quel liquido elemento,
mare sopra, mare sotto, astronauta immobile
sopra un abisso di liquido nero dove il sole non può più penetrare
e fa convergere i suoi raggi verso un apparente punto focale
che un giorno antico percepii come il punto di ritorno alla luce.
Ho visto
nascere l’amore per un lavoro sogno d’amore
e dal nulla sorgere improvviso quell’amore per tanto tempo cercato
e nel nulla affermarsi, caldo motivo di vita,
e giorno dopo giorno costruirlo nella vuota pienezza dell’essere
e in quel vuoto crescere, definirsi e diventare grande
col respiro del sempre, pur nella consapevolezza del tempo,
palpito nuovo del cuore che si schiude alla mente
e riporta il calore e la voglia di fare, eterna ricerca di eterno.
Ho visto
il sogno prendere progressivamente realtà e volare
alla ricerca di una verità ultima che ogni giorno
appare sempre più evidente ai miei occhi
e svela le infinite tessere di un disegno arcano
ma immanente e semplice, e a portata di mano,
che si dipana nello spazio e nel tempo e dà un significato nuovo
a questo mio incessante desiderio di comprendere e di dare,
significati segreti contenuti in una verità evidente e da sempre espressa
nella ricerca infinita di infiniti perché, racchiusi nelle parole antiche
di coloro che avevano compreso che tutto questo nostro muoversi
è il tentativo umano di ritrovare quel reale punto focale
che un giorno illuminerà la via che conduce verso un definitivo abisso.
Ho visto
e vedo tutto questo mio attento e incessante guardare,
questa mia ricerca, come l’estremo tentativo di cogliere finalmente,
nella luce tremula di un atteso e meritato mattino
che immagino aprirsi improvviso su un chiaro pensiero di luce,
che tutto questo continuo cercare si può realizzare
nella capacità di vedere l’immane senso della creazione,
e il mistero ultimo, e da sempre celato, della vita,
nella postura immobile e fremente del mio gatto
che si appiattisce per terra per cercare di afferrare
qualcosa che non c’è e che fa parte della sua natura innata
di pensare la vita come un eterno sogno reale,
come un gioco inventato di momento in momento.
Febbraio 2002
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