Il daoismo si rivela come una rappresentazione simbolica del mondo e,
sul piano umano, come una percezione, una comprensione diretta della vita.
Entrare nel Dao è un’esperienza intuitiva in quanto cancella ogni distinzione
tra l’oggetto e il soggetto, tra l’Io e il non-Io.
Attraverso il linguaggio lineare:
- Il Maestro occidentale fa sì che ogni giorno l’allievo
acquisisca qualcosa in più sul piano del sapere.
- Il Maestro daoista non si preoccupa di trasmettere
all’allievo un sapere, ma di insegnargli ad essere, spezzando la logica delle
relazioni fra le parti e delle parti col tutto. Dice una massima daoista: “Il
buon allievo ogni giorno perde qualcosa”.
In occidente pensiamo che con il linguaggio si possa esprimere tutto,
basta rispettare la triade soggetto-verbo-complemento oggetto, dove il soggetto
è il fulcro della frase. Il daoista invece è alle prese ogni giorno con il
concetto: “Come posso esprimere l’inesprimibile?”.
Infatti: il linguaggio lineare dialoga con la nostra mente, solo
qualche volta anche con il cuore.
Le parole dell’erudito devono essere comprese; le parole
del Maestro non si devono comprendere: bisogna
ascoltarle come si ascolta lo stormire del vento tra gli alberi, il rumore del
fiume, lo sciabordio delle onde, il silenzio delle stelle, il rombo lontano del
tuono, il ticchettio della pioggia, il leggero fluire delle nuvole in cielo, il
canto degli uccelli. Solo così quelle parole potranno risvegliare nel cuore
qualcosa che è al di là di ogni conoscenza. Il Maestro apre agli allievi la
possibilità di divenire, a loro volta, Maestri. E’ una strada aperta, identificabile
con la parola cinese Dao: la Grande Via.
Infatti essa permette di coltivare la consapevolezza, la forma più
elevata della coscienza umana: “Essenziale è
continuare a camminare su questa strada, sulla strada che i miei Maestri ed io
abbiamo insieme camminato”.
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