A pranzo con Pino ho fatto un’altra riflessione.
Parlava, guarda caso, del Suono Sordo che fa una campana crepata,
che nonostante si provi a riparare, non potrà più suonare come prima.
Quante volte abbiamo sentito questa frase? Sicuramente diverse, ma
quante volte ci siamo fermati a riflettere su queste semplici parole? Perché si
usa dire “Fa un Suono Sordo”?
Un suono è un rumore, cosa gli interessa a un rumore il non
sentire?
Se suono un tamburo o una campana, mi preoccupo del suono che fa,
e non di cosa sente, anzi non avevo mai preso in considerazione che potessero
anche sentire! Ma, dal momento che diciamo Sordo, intendiamo che non sente, e
probabilmente questa parola non è stata usata a caso!
Proviamo, per un attimo a pensare di essere delle campane che diffondono
vibrazioni.
Non possiamo farlo con la voce, che pronuncia invece parole; deve
essere allora qualcosa di molto più profondo, ad emettere questa vibrazione. Qualcosa che non si può vedere, che crea la nostra personale frequenza,
proprio come ogni campana crea il proprio unico suono. E cosa c’è di più profondo e allo stesso tempo leggero, invisibile
e impalpabile della nostra Anima? Sarà forse Lei a suonare? O meglio a risuonare?
Eleonora Luzi: armonia e movimento
E non potrebbe essere la crepa della campana, quella che se anche proveranno
a riparare farà riprodurre un Suono Sordo, la ferita profonda che una persona
può avere subito nella sua Anima? Una ferita così dolorosa che ci ha fatto preferire la sordità, a
questo Mondo così pieno di “suoni”? Una ferita che arrivi a non farci sentire la vibrazione delle
altre “campane” e che nonostante sia suonata da un Maestro non riesca a
riprodurre un suono armonico?
Allora, se siamo così simili alle campane, in realtà non siamo
uguali, Noi non siamo oggetti.
E nonostante, come le campane non possono essere riparate da un
artigiano, anche noi non possiamo sperare che qualcun altro “ci ripari”, noi abbiamo
il potere della volontà.
Se iniziamo a crederci, ad affidarci a una voce esperta e saggia
che ci faccia da guida, potremmo andare noi stessi in quel posto così nascosto,
profondo, e talmente stretto che non permette l’ingresso di due persone.
Dovremo allora essere pronti a muoverci al buio senza timore, perché
più si va in profondità, più il Mare diventa buio, è li che potremo trovare la
grotta che noi stessi inconsciamente abbiamo scavato.
E’ proprio quando questo silenzio non ci farà più paura, che
riusciremo a prenderci cura di quella parte ferita, che si era nascosta così
bene da non farsi trovare per anni, così in profondità da sfuggire al Mondo
esterno.
Allora potremo sentire il suono delle altre campane, e
armonizzarci a esso senza la paura di perderci, senza la paura di essere
influenzati, perché una volta che quel momento sarà finito, avremo la sicurezza
di quello che siamo e non di cosa stiamo lasciando.
E’ per questo che quando ho parlato di Gruppo ho usato la parola Protezione,
per spiegare l’emozione provata, perché non ero io e gli altri, ma eravamo un
Noi.
Michele Zanrei
P.S.:
ho scritto queste righe domenica 18 dicembre, l’orario era ormai
tardo e quando mi sono coricato ero talmente stanco da non riuscire a leggere
neanche una pagina del libro “Il Tao per un anno” che mi da la buona notte da
tanti anni. Poi ho riacceso la luce, pensando che forse avrebbe voluto dirmi
qualcosa. Ho aperto su una pagina a caso per leggerne il breve racconto e il
titolo era:
Suono
Il vento nella caverna:
movimento nella quiete.
Forza nel silenzio.
Grazie Pino
Michele
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