Questa è la storia di un baldo giovane, forte e volenteroso
che, come talvolta capita, oltre alle sue braccia non possedeva nient’altro.
Anzi no, aveva un cane e un flauto. E sapeva suonare molto bene.
Ogni giorno,
dopo aver duramente lavorato nei campi, per riposarsi, si metteva a suonare, la
gente ascoltava con piacere.
Le ragazze del paese erano tutte innamorate di
lui, anche le più ricche lo avrebbero sposato volentieri. Ma lui non le
guardava nemmeno.
Stanche di essere ignorate, finirono… per odiarlo. E l’odio è
un cattivo consigliere: le ragazze decretarono la morte del povero giovane.
Un
giorno, mentre lui se ne stava tranquillo a suonare il flauto sull’orlo di una
fossa profonda, gli arrivarono alle spalle e lo buttarono giù. Il giovane perse
conoscenza, ma non si fece un gran male. Quando si riebbe, sentì guaire il suo
cane.
- Buttami il flauto – gli gridò. E il cane ubbidì. Il giovane cominciò a
suonare, ai primi accordi ecco arrivare uno stuolo di scimmie, curiose e
intelligenti. Capirono la situazione e subito saltarono tutte sul ramo alto di
un robusto cocco che sorgeva vicino alla fossa e lo curvarono in modo tale che
il giovane poté aggrapparsi ai rami e tirarsi fuori.
Le cattive ragazze non se
la diedero per vinta. Attesero il momento propizio e riuscirono a far
precipitare il giovane in un burrone ben più profondo della prima fossa. Il
poveretto penò moltissimo, tentò più e più volte di arrampicarsi lungo le
ripide pareti scoscese. Si graffiò il volto, si ferì le mani, ricadde; per non
morire di fame fu costretto a cibarsi di erbe e di radici. Si coprì di barba, i
capelli erano diventati un cespuglio, gli abiti sbrindellati.
Quando riuscì a
uscire da quell’inferno era irriconoscibile. Con gran fatica, camminò fino a raggiungere
una risaia. Le prime persone che incontrò furono due sorelle giovani e
graziose. La maggiore si spaventò alla vista di quello sconosciuto così male in
arnese e fuggì, ma l’altra comprese che l’uomo che le stava davanti doveva aver
molto sofferto e gli andò incontro.
Il giovane si offrì di lavorare per loro
nella risaia in cambio di un po’ di cibo.
A turno le due sorelle gli portavano
da mangiare: la maggiore lo trattava con distacco, gli parlava duramente, la
minore, invece, era gentile, dolce, ascoltò piena di comprensione la storia
delle sue peripezie.
Quando il giovane si sentì meglio, chiese di poter
migliorare il suo aspetto. Le ferite del volto erano guarite, desiderava sbarbarsi,
lavarsi, pettinarsi. E il giovane ritrovò la sua forma smagliante: era davvero
un bel giovane e… se ne innamorò anche la sorella maggiore.
Lo condussero a
casa loro, lo presentarono al padre, che accettò di assumerlo come fattore.
Poi ci fu quel giorno che il genitore, dovendo allontanarsi da casa per degli
affari, ordinò alle sue figliole di ripulire due sentieri dietro casa, uno
coperto di erbe spinose, l’altro di arbusti.
La figlia maggiore scelse subito
il lavoro più facile, quello di strappare gli arbusti; alla minore rimase il
compito di strappare le erbe spinose. Ma il giovane si unì a lei nel duro
lavoro e allegramente lo eseguirono insieme.
Al suo ritorno, il genitore fu
lieto di concedere ai due ragazzi, visibilmente innamorati uno dell’altra, il
consenso alle nozze.
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