giovedì 26 giugno 2014

Il gelso


Ovidio narra nelle "Metamorfosi" che a Babilonia due giovani, Piramo e Tisbe, si amavano teneramente. Siccome le famiglie contrastavano il loro amore, i due amanti s'incontravano nascostamente presso una fonte, sotto l'ombra di un gelso "dai frutti bianchi come la neve". Un giorno Tisbe, che era arrivata per prima, scorse una leonessa: spaventata fuggì lasciando cadere il velo. La belva, che aveva appena ucciso una preda, lo arrossò con quel sangue. Quando Piramo, giungendo all'appuntamento, trovò il velo in quello stato si convinse che l'amante era stata sbranata. Disperato, si trafisse il cuore il cui sangue fu spruzzato sulle more del gelso. Poco dopo Tisbe tornava al luogo dell'incontro: appena s'accorse dell' accaduto maledì l'albero dicendo "Porterai per sempre frutti scuri in segno di lutto per attestare che due amanti ti bagnarono col loro sangue", poi si gettò sulla spada di Piramo ancora tiepida. Da allora, conclude Ovidio, i frutti del gelso nero, prima bianchi, poi rossi, assumono quando maturano un color rosso porpora. Di là dalla sua origine luttuosa la pianta era molto apprezzata nell'antichità tant'è vero che la chiamavano "l'albero più saggio" perché si dimostrava accorta e intelligente ritardando la schiusa delle gemme fino a quando non fosse passato completamente il freddo invernale. 
"Ma, una volta iniziata", scriveva Plinio il Vecchio, "la sua gemmazione si dispiega completamente, al punto di compiersi in una sola notte e persino con brusio". Il gelso nero veniva considerato anche una specie di panacea: fra le tante virtù che gli si attribuivano si diceva che le gemme dei futuri frutti, colte con la mano sinistra e senza che toccassero terra, si dovevano portare come amuleto perché impedivano qualunque tipo di emorragia. In un dipinto pompeiano, conservato al Museo nazionale di Napoli, sono raffigurati due frutti rossi con foglie e in un dipinto nella casa del Toro, a Pompei, un gelso nero che proveniva dalla Persia e dall' Armenia. 
Il bianco invece, più adatto per l'allevamento del baco della seta, ma senza miti, è stato importato in Italia dalla Cina soltanto nel secolo XII. Con i suoi frutti bianco-rosa, che si raccolgono in agosto-settembre, si ricava uno sciroppo usato come bevanda rinfrescante ma anche per combattere le angine e l'afta.



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