“Pensiamo al tatto. Sentire anche intensamente altre entità
rimanendo se stessi. Sentire quello che sente un’altra o un altro, solo
sfiorandoli, alla ricerca di un’intonazione emozionale che, per quanto elevata
e profonda possa essere, non annulla la differenza. Anzi: la differenza è
condizione di quella possibilità e ne costituisce anche il vincolo generativo.
Ma,
allora, è possibile l’intonazione emozionale o non lo è? Ecco il punto: è sia
possibile che impossibile. Possiamo esperirla e trarre da quella fonte il senso
e il significato della nostra esperienza, bella o terribile, ma la possibilità
di viverla dipende dall’essere noi, dentro e fuori allo stesso tempo, in quella
dinamica relazionale.
Il tatto, come movimento, richiama per analogia il fenomeno
dell’empatia. Nel movimento del tatto emergono affinità con quel movimento
interno, definito empatia, che permette a una persona di entrare in risonanza
con un’altra nel tentativo di comprenderla. Corpo e movimento sembrano essere
alla base della risonanza, in quanto l’inter-corporeità consente alla qualità
dell’esperienza di una persona di avvicinarsi alla qualità dell’esperienza
altrui.
L’empatia,
se mediata da uno sforzo di comprensione, sembra legarsi al movimento di
avvicinarsi o allontanarsi. Nel vocabolario di Luigi Pagliarani (psicologo e
giornalista), empatia è stata una parola
associata di solito a parole chiave come relazione,
conflitto, mancanza, ambiguità, ma soprattutto amore. La giusta distanza, il respectum, erano per Pagliarani condizioni per elaborare i
vincoli e le possibilità della relazione. Sia
che fosse caratterizzata dall’accordo o dall’antagonismo, oppure dal conflitto,
quella relazione aveva il carattere distintivo dell’incompletezza, della
mancanza.
La centralità della relazione sta nel fatto che abbiamo bisogno
degli altri per individuarci e allo stesso tempo la comprensione con gli altri
è soggetta ai problemi e ai vincoli dell’approssimazione. L’empatia regola le
possibilità e i vincoli dell’approssimazione; allo stesso tempo l’exopatia
regola le possibilità della distanza. L’individuazione dipende da entrambe.
Il
problema da spiegare è: come mai è possibile la distanza, essendo noi
naturalmente empatici?
Il costrutto di empatia ha sperimentato un processo di exopatia.
L’exopatia, o presa di distanza, è condizione necessaria per ogni forma di conoscenza.
Noi non sapremo mai cosa si prova ad essere un altro, nel senso di essere lui o
lei: possiamo approssimarci e quell’approssimazione contiene, allo stesso
tempo, condivisione e negazione, attrazione e paura.
La
natura dell’incontro, probabilmente non è distinta dalla ricerca, ma dal
trovare; o ancora più probabilmente dall’essere trovati.
Il punto soggettivo in cui si è giunti con la propria formazione, la propria
capacità di individuarsi e fare un lavoro sufficientemente buono con se stessi
entra in contatto con l’altro e prova, almeno in parte, ad essere l’altro. Si trova trovando l’altro, ma in quanto è coinvolto e distaccato
allo stesso tempo.
Non
siamo mai svincolati da noi stessi e l’empatia non risolve l’ambiguità
costitutiva della relazione con l’altro; ne rappresenta una possibilità”.
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