venerdì 8 settembre 2017

Tatto ed empatia - da uno scritto di di Carla Weber – psicologa e psicoterapeuta


“Pensiamo al tatto. Sentire anche intensamente altre entità rimanendo se stessi. Sentire quello che sente un’altra o un altro, solo sfiorandoli, alla ricerca di un’intonazione emozionale che, per quanto elevata e profonda possa essere, non annulla la differenza. Anzi: la differenza è condizione di quella possibilità e ne costituisce anche il vincolo generativo.
Ma, allora, è possibile l’intonazione emozionale o non lo è? Ecco il punto: è sia possibile che impossibile. Possiamo esperirla e trarre da quella fonte il senso e il significato della nostra esperienza, bella o terribile, ma la possibilità di viverla dipende dall’essere noi, dentro e fuori allo stesso tempo, in quella dinamica relazionale.
Il tatto, come movimento, richiama per analogia il fenomeno dell’empatia. Nel movimento del tatto emergono affinità con quel movimento interno, definito empatia, che permette a una persona di entrare in risonanza con un’altra nel tentativo di comprenderla. Corpo e movimento sembrano essere alla base della risonanza, in quanto l’inter-corporeità consente alla qualità dell’esperienza di una persona di avvicinarsi alla qualità dell’esperienza altrui.
L’empatia, se mediata da uno sforzo di comprensione, sembra legarsi al movimento di avvicinarsi o allontanarsi. Nel vocabolario di Luigi Pagliarani (psicologo e giornalista), empatia è stata una parola associata di solito a parole chiave come relazione, conflitto, mancanza, ambiguità, ma soprattutto amoreLa giusta distanza, il respectum, erano per Pagliarani condizioni per elaborare i vincoli e le possibilità della relazione. Sia che fosse caratterizzata dall’accordo o dall’antagonismo, oppure dal conflitto, quella relazione aveva il carattere distintivo dell’incompletezza, della mancanza.
La centralità della relazione sta nel fatto che abbiamo bisogno degli altri per individuarci e allo stesso tempo la comprensione con gli altri è soggetta ai problemi e ai vincoli dell’approssimazione. L’empatia regola le possibilità e i vincoli dell’approssimazione; allo stesso tempo l’exopatia regola le possibilità della distanza. L’individuazione dipende da entrambe.



Il problema da spiegare è: come mai è possibile la distanza, essendo noi naturalmente empatici?
Il costrutto di empatia ha sperimentato un processo di exopatia. L’exopatia, o presa di distanza, è condizione necessaria per ogni forma di conoscenza. Noi non sapremo mai cosa si prova ad essere un altro, nel senso di essere lui o lei: possiamo approssimarci e quell’approssimazione contiene, allo stesso tempo, condivisione e negazione, attrazione e paura.
La natura dell’incontro, probabilmente non è distinta dalla ricerca, ma dal trovare; o ancora più probabilmente dall’essere trovati. Il punto soggettivo in cui si è giunti con la propria formazione, la propria capacità di individuarsi e fare un lavoro sufficientemente buono con se stessi entra in contatto con l’altro e prova, almeno in parte, ad essere l’altro. Si trova trovando l’altro, ma in quanto è coinvolto e distaccato allo stesso tempo.
Non siamo mai svincolati da noi stessi e l’empatia non risolve l’ambiguità costitutiva della relazione con l’altro; ne rappresenta una possibilità”. 

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