domenica 3 agosto 2014

Introduzione al Commentario del Daodejing (Tao Te Ching)



L’intuizione
Il Daodejing (Tao Te Ching) è un’opera divisa in due parti: nella parte A si parla del Dao (da tavola 1-37) e nella parte B della sua Virtù-De (da tavola 38-81). Questo secondo la versione classica di Wang Bi (226-249 d.C.).
Però, nel Daodejing scritto su seta (datato probabilmente intorno al 150 a.C.) trovato a Mawangdui nel 1973, la prima parte è quella che va dalla tavoletta 38 alla 81 (che nelle traduzioni classiche è invece la seconda), scritta con caratteri ‘piccolo sigillo’, mentre la seconda va dalla tavoletta 1 alla tavoletta 37 (che nelle traduzioni classiche è invece la prima) per cui si esamina prima la Virtù del Dao e poi il concetto stesso di Dao, scritta in ‘stile clericale’. Perciò, nella versione di Mawangdui, si parte dal manifesto per comprendere il non-manifesto.
Il pensiero di provare a commentare il Daodejing sotto l’ottica originale che ho usato, mi era sorto, in verità, già cinque anni fa, ma poi la stesura di esso era stata interrotta da un’altra intuizione: quella della decodifica del Testo di Seta dell’Yijing, anch’esso trovato in una tomba a Mawangdui che, dopo dieci anni di inutile studi e ricerche, mi si è improvvisamente palesata proprio quando avevo deciso di abbandonare ogni tentativo (decodifica che ho due anni fa pubblicato con il titolo “L’I Ching del Testo di Seta: il mistero svelato”).
Per quanto riguarda il Daodejing, il tipo di lettura che vi propongo mi è venuto in mente per cercare di comprendere la poetica proposta dal testo su seta di Mawangdui a differenza di quella classica proposta da Wang Bi, non pensando prima all’una parte o all’altra del testo, ma affiancandole: Cielo e Terra e, fra di loro, la mente dell’uomo capace di comprenderle e la realtà sua corporea che le rende capaci di applicazione. Infatti, nonostante la poetica del Laozi di Guodian ho pensato di scrivere questo “Ennesimo Commentario al Daodejing” seguendo il testo di Wang Bi, ma esaminando ogni volta, in modo monografico, la tavola 1 e la tavola 38 e procedendo così sempre in parallelo. 
L’intuizione è stata questa: se due testi diversi, il Daodejing di Mawangdui e quello di Wang Bi, sono considerati da due diversi autori comunque divisi in due sessioni, perché non provare a raffrontare la tavola 1 affiancato alla tavola 38 (e così via). Si potrebbe così vedere se c’è una corrispondenza di insegnamento fra il concetto astratto e non nominabile di Dao e il concetto reale e nominabile che è la sua De, la sua Virtù, la via che l’uomo deve seguire per potere intuire l’immensità del Dao (come per me sarà poi meravigliosamente espresso nell’ampio respiro e nella grandezza espressiva della tavola 25).
Nel Ta Qiuan, il Grande Trattato sull’Yijing, Confucio dice: “Agli inizi della protostoria, Fu Xi dominava il mondo. Innalzato lo sguardo alla volta celeste, egli contemplò le immagini nel Cielo; abbassato lo sguardo egli meditò sugli accadimenti che avvenivano sulla Terra attraverso il comportamento degli uccelli e degli altri animali ed il loro adattamento ai luoghi. Contemplando il Cielo, egli partì direttamente da se stesso; contemplando la Terra, egli partì indirettamente dalle cose”.
A questo punto ho pensato che lo stesso poteva valere per il Daodejing. Quando noi leggiamo la parte che attiene al Dao, necessariamente dobbiamo considerare che ognuno di noi deve partire da se stesso, dal suo momento storico e culturale, dalla sua capacità di astrazione e di associazione, dallo sviluppo della sua mente meditativa. Perciò ognuno di noi recipisce il messaggio del Dao in modo assolutamente personale, come fece a suo tempo Fu Xi riguardo alle immagini del Cielo. La seconda parte, la De, la Virtù del Dao, invece non presuppone astrazioni concettuali in quanto ci dice solamente cosa si deve fare per portare il Dao nell’uomo, come fece Fu Xi quando comprese come realizzare in Terra le immagini del Cielo (attraverso il comportamento degli uccelli e degli altri animali ed il loro adattamento ai luoghi).
Facendo questo lavoro non mi sono proposto confronti o ricerche di tipo mistico o filosofico di nessun tipo, ma semplicemente di scrivere di getto le sensazioni e le emozioni che mi scatenavano le due letture, quella del Dao e quella della sua Virtù manifesta. Inoltre, in questo lavoro ho pensato di usare la traduzione di Julius Evola pubblicata nella collana “Orizzonti dello spirito” dalla Casa Editrice Mediterranee. La scelta di questa traduzione è dovuta al fatto che essa è quella che mi ha accompagnato dal 1972 e che tanto è stata importante per la mia evoluzione pratica (Shen Training®), psicologica e spirituale. 
Comunque in questo “Ennesimo Commentario al Daodejing”, in fase di pubblicazione, citerò, all’inizio, anche altri Autori per cercare di far comprendere come, quando si affronta il Dao e il pensiero cinese in genere, tutto possa essere visto e tradotto in modi a volte molto diversi e ciononostante (e questo è veramente un grande mistero-xuan) il senso che l’antico Saggio ha messo nel suo testo non sia mai stato completamente travisato. Questo è per me veramente il mistero dei misteri (lo xuan dello xuan).


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