domenica 13 dicembre 2015

"Rumenta" (spazzatura) - racconto di uno che conosco

Il luogo dove vivo ora, che per me è un Paradiso, ad altri potrebbe forse non apparire così ameno. E’ un piccolo borgo ligure, posto in alto, affacciato sul nulla dei boschi e delle colline che nascondono il mare alla mia vista. E’ composto da una ventina di case di pietra, di cui dieci completamente disabitate e cinque che si animano solo d’estate. Nelle altre cinque viviamo io e quattro anziani che non si sono mai mossi di lì. Siamo a circa venti chilometri dal mare, ma quando una volta chiesi a Nella se lo avesse mai visto, mi rispose con lo sguardo pensieroso che sì, una volta lo aveva intravisto, lontano, là in basso, quando da giovane lavorava nelle faticose vigne dello Sciacchetrà.

Questo luogo, per me, è un luogo del cuore; vi ho trascorso le lunghe estati dell’infanzia, tutti mi conoscono e per me sono un po’ tutti “nonni”. Allaccio le bombole del gas quando ce n’è bisogno, faccio per loro qualche piccola compera in paese e loro mi sommergono di frutta e verdure fresche dei loro orti. Ricevo anche diversi inviti nelle cantine (ma sono astemio) e nelle cucine dove, sulle stufe a legna, cuoce lentamente il ragù di cinghiale (ma da anni non lo mangio, perché non lo digerisco).
Fatto sta: vivo solo e mi arrangio ai fornelli. Salgo a piedi (in macchina non è impossibile, ma difficile raggiungere la mia casa) con le borse della spesa e scendo con lo stesso mezzo a portare la spazzatura nei bidoni della piazzetta.
Nando (ottantasei anni, ma ne dimostra più o meno sessanta) mi aspetta al varco, appoggiato al muro di casa sua con il cane Rufus accovacciato ai piedi. 

E’ inverno e non c’è molto da fare. I camini fumano pigramente e una nebbia leggera sale dalla valle.
- Ne fai, eh, di rumenta!- Commenta divertito ogni volta che passo.
- Eh, sì! - Rispondo, imbarazzato, come colto in fallo e tiro di lungo.
Certo che lui, Nando, la rumenta non sa che cosa sia: produce il 99% del cibo che mangia e quello che non produce (ad esempio zucchero e farina) lo compra all’ingrosso in sacchi di carta robusta, che poi ricicla in mille modi. Gli abiti che porta, pur se lindi e rammendati, sono gli stessi da vent’anni a questa parte. I calzini troppo bucati servono per imbottire i boccetti Bormioli quando sterilizza le conserve. Ogni oggetto di legno, se obsoleto, serve ad alimentare la stufa. Qualche bottiglia di plastica raccattata chissà dove, non certo sua, fa da serra alle piantine in vivaio. Le coloratissime carte stagnola delle uova di Pasqua, legate ai rami degli alberi da frutta, spaventano gli uccelletti golosi. Le reti da letto mancanti di un piede o di qualche molla sono cancelli perfetti per i pollai. Se proprio avanza un po’ di cibo, finisce nella  rudimentale compostiera, che a sua volta alimenterà l’orto. Qualche altra cosetta si può sempre bruciare sul terreno appena zappato (fa concime anche la buona cenere!).
Niente scatolette, per lui, né arance in rete. 

Le sue uova sono a chilometri zero, quindi niente contenitori di plastica. L’acqua, è quella del Comune (poca, perché il vino disseta di più). Di stravaganti packaging non se parla, perché non si parla neppure di stravagante oggettistica.
Niente rumenta, insomma.
La rumenta è roba da cittadini!

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