venerdì 20 marzo 2015

Commento alla visita delle Operatrici americane - Post di Valentina Muto

Spesso capita di vivere senza capire che cosa si sta facendo, senza sapere dove si è e soprattutto senza ponderare ciò che si dice. 
Venerdì 7 Marzo sapevo dove sarei stata all’Ego Center, sapevo cosa avrei fatto, un incontro con alcune allieve americane di Wassim, sapevo anche che, per non sbagliare, non avrei detto nulla. Quello che non sapevo era cosa significasse questo scambio, che cosa mi aspettasse. Era un evento straordinario? Forse un contesto didattico o un incontro informale? Non sapevo niente e mi sono detta: “Va be' io vado, me l’ha detto Pino». 
Poi venerdì vedo le operatrici dell’Ego Center emozionate, tutte in piedi di fronte alla porta di ingresso ad aspettare... io mi sono seduta, con la mia maglia grigio disperazione 2° anno di Shen Training® a guardare per capire come fosse la situazione. 
Arrivano le americane, si presentano a Elisa, Alice, Carla, Daniela, salutano il cane Olmo, Jurica stava fumando fuori, poi mi si avvicinano e si presentano anche a me, nonostante il colore della mia maglietta. 
Si entra in aula, Pino inizia a parlare, Wassim traduce, io capisco solo in quel momento che le americane erano tutte Operatrici, quindi a parte Jurica che però aveva una t-shirt rossa 3°, anno Shen Training®, ero completamente circondata da Operatrici. Sono però una ragazza molto fortunata e in aula straordinariamente c’era Olmo. 
Pino parla di Shen e del percorso per diventare Operatori, percorso personale e non didattico, lo fa attraverso metafore che riguardano la sua vita, partendo da un quadro che ogni martedì da un anno a questa parte vedo. Parla quindi di sé, da dove è partito e da dove mai dimentica di essere partito, del suo viaggio, di come il mare può travolgerti, o di come lo si può usare per scivolarci sopra. Spesso Wassim smetteva di tradurre in americano e lo faceva in italiano tanto era emozionato, io non sono riuscita a scrivere nemmeno un appunto della lezione, per circa due ore il mio diaframma ha continuato a vibrare, le mie mani anche, non riuscivo ad avere un idea, né ad elaborare un concetto, tutto ciò che mi arrivava era un solo, grande, regolare e profondo battito, tutun, tutun, tutun. 
Da venerdì mi sento diversa, non per un motivo o una circostanza particolare, è una cosa quasi impercettibile. 
Quel giorno, quando sentivo quel battito e il mio diaframma continuamente vibrare, la mia mente ha smesso di fare rumore, non mi sono più chiesta perchè fossi lì, perchè io o cosa stavamo facendo, era così ovvio per me essere lì, non mi sentivo diversa, non era importante di che anno fossi, nulla poteva essere diverso da come era e io appartenevo. 
Mi sentivo e mi sento sicura 
E’ un paradosso forse che io abbia avuto bisogno di persone da un altro continente per sentirmi parte di “casa mia” e ancora più strano è che per tutta la mia vita fino agli ultimi tempi arrivata all’Ego Center, io non riuscissi a sentirmi capita da nessuno, nonostante tutti parlassero e capissero le mie parole. 
E’ vero che le parole escono dal cuore ma servono orecchie profonde per ascoltarle e qui la lingua che parliamo non può fare la differenza tra le persone. L’emblema della giornata fu il mio tatuaggio, in arabo, forse perchè ero così abituata a non essere capita che smisi anche di provarci. Wassim lo ha tradotto e quel tatuaggio per me è come il quadro di Pino, sono partita da un desiderio che pensavo nessuno potesse comprendere, quasi negli anni ne avevo dimenticato il significato di quella scritta straniera e poi arrivo qui, e in un solo anno di percorso il mio desiderio che non ricordavo più di avere si è avverato e la mia felicità non dipende più da ciò che faccio per provarne un po’, non è più uno stato ‘'animo che va e che viene, oggi la mia gioia è a prescindere.
Finalmente mi sento capita 
Quando c’è un barattolo sottovuoto, c’è la persona che tenta di aprirlo per ore e poi un’altra persona che dopo queste ore lo prende e tac, lo apre in un secondo. Se non ci fossero entrambe queste persone forse il barattolo potrebbe rimanere chiuso, ma è lo sforzo, la determinazione e le mani del primo che svitando il tappo fanno entrare nel barattolo un po’ di ossigeno per permettere di aprirsi. 
Questo è quello che ho vissuto venerdi 7 Marzo grazie a Pino, Wassim, Elisabeth, Olmo, Elisa, Carla, Alice, Daniela, Jill, Christina, Virginia, Laurie, Jurica e me. 
Valentina Muto

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