lunedì 28 settembre 2015

Strade di Liguria di Patrizia Vetri

Le strade, in Liguria, le fanno con poco: un mucchio di sassi, un po’ di terra, a volte quattro badilate di catrame, a volte neppure quelle. L’unico ingrediente che viene usato con abbondanza è la pendenza, che deve essere sempre presente e anche in grande quantità.

Fare una strada dove il terreno è pianeggiante, che gusto c’è? Non è quasi neanche una strada.
Invece no. La strada deve sempre salire (o scendere) in modo imprevedibile e impervio, curvare a tornante, infilarsi in mezzo ai boschi di castagni o scendere tra le pietraie.
Se è così, tranquillo che sei sulla via giusta e presto arriverai alla meta, al mulino storico o alla “Cà du Russu”, raro esempio di architettura contadina sopravvissuto, anche se malamente, allo scorrere dei lustri.
Bei posti, belle esperienze. Anzi, indimenticabili.
Per te è oro ciò che i contadini disprezzano: la grotta preistorica e le parole.
Se chiedi informazioni, alzano appena la testa dal lavoro di zappa con cui cercano di far sopravvivere quei due pomodori e bofonchiano: “Di là...”, con un vago gesto della mano. Poi per loro la conversazione è chiusa e devi arrangiarti.
Come, di là? E’ questa, la strada? Ma sì, vai pure. E punti il muso della macchina, ma la “strada” appare subito spaventosamente sproporzionata. Anche la macchina rifiuta di proseguire, è palesemente spaventata. Per proseguire occorre scalare le marce, anche se d’istinto ti viene da fare il contrario. Quando non c’è più niente da scalare, premi l’acceleratore, ti aggrappi al volante e... preghi.
Dopo un po’, pensi che forse non è così importante visitare S. Maria, Scogna o Oradoro, i cui campanili appaiono e scompaiono alla vista ad ogni curva, ma sempre distanti uguale.
E se tornassimo indietro?
Ti piacerebbe. Ma dove pensi di poter trovare una piazzola per fare manovra?
Forse, in paese. Meglio andare avanti.
Guardi l’abisso che hai sulla destra. Chilometri di cime di alberi e di cespugli, che terminano sul fondo scuro di un canalone...
Non guardare giù! Dai, che manca poco!
Poco dopo si materializza l’incubo paventato fin dall’inizio: e se viene qualcuno dall’altra direzione?
Eccolo, il “qualcuno”... Un indigeno imprudente a bordo della classica Panda 4x4, che deve essere l’unica macchina che hanno venduto da queste parti. Scende a velocità da rally, solleva una nuvola di polvere, lo vedi comparire, se sei fortunato, al tornante superiore.
Cosa facciamo quando ci incrociamo?
Avremmo la precedenza, dal momento che stiamo salendo, ma chiudiamo gli occhi e lasciamo fare a lui...
E mentre, pietrificati, blocchiamo ruote e cuore sull’orlo dell’abisso, lui arriva, in canottiera e sorriso sdentato.
Sembra impossibile, ma non tocca neanche il freno e... ci passa per miracolo, anche se gli specchietti si sfiorano a passo di danza.
... La schiena si scolla dallo schienale dove l’aveva appiccicata il sudore freddo e riprendiamo a salire.
La strada si fa sempre più stretta e viene invasa dalle felci, mentre al posto della mezzeria l’erba cresce fitta, in una striscia regolare, testimone della scarsità di macchine che si avventurano fin quassù. Ma porterà veramente in qualche posto? Te ne accorgi poco dopo.
Finalmente infatti approdi in una piazzetta dove i cinque posti auto sono già occupati da tre Panda 4x4 e due motocarri Ape. Una delle Panda ha le gomme sgonfie. Segno che da anni non si muove da lì.
Di parcheggiare, non se ne parla. Del resto, il paese è tutto lì: tre case, due pollai, un campanile che proprio in quel momento attacca a suonare il mezzogiorno con tutte le sue forze.
I rintocchi rimbombano nella valle e nelle tue orecchie. Chi sta lì ad aspettare il dodicesimo?
Si manovra al millimetro sull’orlo dell’abisso, sotto gli occhi di un’indigena che stringe le cocche di un grembiule pieno di fagiolini, come a difendere la sua piccola proprietà da questi ignoti invasori.
Rotoliamo quindi verso il basso. Adesso che siamo dalla parte della montagna dovremmo essere molto più tranquilli. Chi vuoi che salga su per di qui?
Infatti, in breve guadagnamo l’Aurelia, nastro asfaltato che ci sembra un’autostrada. Che sollievo, quando posiamo le gomme quasi in piano!
Strano, viene da premere sull’acceleratore per il senso di libertà e soprattutto di scampato pericolo.
...E da sorridere all’autovelox che, appostato tra le frasche, sembrava che aspettasse proprio noi...

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