venerdì 30 ottobre 2015

“Gratitudine” da ‘Psycologie’ a cura di Rita Caprioglio

Le neuroscienze lo dimostrano: praticare la gratitudine nella quotidianità è una garanzia di buona salute fisica e relazionale. Dare del proprio dopo aver ricevuto ci aiuta a resistere allo stress, ma anche a prendere consapevolezza che abbiamo bisogno degli altri per esistere.


Grazie: queste cinque lettere possono cambiare le nostre vite. Non i grazie detti in modo automatico per una porta tenuta o una saliera passata, no; secondo lo psicologo Robert Emmons, la gratitudine è benefica quando è espressa in piena consapevolezza, dopo essere passati attraverso due tappe. In primo luogo, la constatazione del bene ricevuto, che può essere materiale (regalo) o immateriale (sostegno morale, presenza) e del suo costo (lo sforzo che ha richiesto). In seguito, “la consapevolezza del fatto che la sorgente di questo beneficio si trova al di fuori di sé”. Sorgente che può essere un’altra persona, ma anche la vita stessa.
Uno sguardo positivo sulla vita: per misurare gli effetti reali di questa riconoscenza, Robert Emmons e il suo collega Michael McCullough hanno convocato parecchie centinaia di persone che hanno diviso in tre gruppi. Il primo gruppo teneva un diario delle proprie esperienze quotidiane; il secondo, solamente delle esperienze spiacevoli, mentre nel terzo gruppo, ognuno doveva compilare la lista degli avvenimenti dei quali poteva essere riconoscente. Dieci settimane più tardi, quest’ultimo gruppo presentava uno stato generale più positivo, entusiasta nel quotidiano e ottimista per l’avvenire. Meglio ancora: queste persone riportavano meno preoccupazioni per la loro salute e si prendevano maggiormente cura di loro stesse, principalmente attraverso la pratica di un’attività sportiva. Robert Emmons ha anche constatato un abbassamento del livello dello stress, una migliore qualità del sonno, una maggiore determinazione, una accresciuta performance e una caduta del rischio di depressione. Più spesso noi ci sforziamo di rilevare le ragioni per essere riconoscenti, più facilmente ne troviamo. Inoltre, più noi esprimiamo la nostra gratitudine agli altri, più siamo apprezzati, quindi più essi sono gentili, più noi abbiamo delle ragioni per essere loro riconoscenti, etc. E’ un circolo virtuoso che non può mai essere chiuso! Come funziona? La gratitudine “aiuta una persona a dirigere la sua attenzione verso le cose felici della sua vita e a distoglierla da ciò che gli manca”, spiega Robert Emmons. Non che la gratitudine annienti le nostre emozioni negative, essa incita piuttosto a sviluppare delle emozioni positive concentrandoci sulle nostre chance. L’obiettivo è quello di passare, come lo esprime il filosofo e psicologo italiano Piero Ferrucci “dalla pretesa - io voglio questo - alla gratitudine - io sono felice di ciò che ho. Questo è ciò che fa dire a Michael McCullough che “la gratitudine potrà essere una felice alternativa al materialismo, cancrena della nostra società iperconsumistica”. Infine, aggiunge Robert Emmons, “praticare la gratitudine distoglie l’attenzione da me, la dirige più verso gli altri e ciò che essi ci procurano”. Ciò permette di decentrarsi: un attitudine che non solamente ci alleggerisce della pressione di cui ci carichiamo a forza di essere attenti a noi stessi, ma che ci fa anche entrare in una relazione calorosa con il mondo e gli altri.
Una mano tesa verso l’altro
“Ringraziare, donare, rendere merito, condividere. Questo piacere che ti do, non è solamente per me. Questa gioia, è la nostra”. C’è, nella gratitudine, una mano tesa verso l’altro in cambio del suo aiuto o di un suo regalo. Così e come lo sottolinea il filosofo Paul Ricoeur, dalla riconoscenza altrui in quanto essere umano alla riconoscenza come sinonimo di gratitudine, non c’è che un passo: quello della coscienza che noi abbiamo gli uni degli altri per esistere. E’ lo sguardo dell’altro su di me che convalida la mia esistenza, poi conferma il mio valore. Senza questo “riconoscimento”, non sono niente.  Già lo diceva Aristotele: “L’uomo che è incapace di vivere in comunità o che non ne sente il bisogno perché si basta a se stesso, non fa parte della città e per conseguenza è un bruto o un dio”. 
Per convincersene, è sufficiente reimmergersi nella sensazione provata quando, dopo aver fatto un favore, non abbiamo ricevuto alcun segno di ringraziamento. L’ingratitudine, questa “tomba del bene”, secondo Alfred de Musset, è una ferita intima come se, più che il nostro regalo o aiuto, sia stata la nostra persona tutta intera che è stata negata.
Inversamente, esprimere la propria gratitudine, è sciogliersi nella grande vasca dell’umanità, è accettare ed inserirsi con gioia nella trasmissione. E’, inoltre, un’occasione per prendere consapevolezza delle proprie fragilità, cosa che ci aiuta ad accettarci così come siamo. “La gratitudine è per definizione antieroica” nota Piero Ferrucci, “non dipende dal mio talento, dalla mia forza o dalla mia originalità. Essa riposa sulla mia capacità di essere vulnerabile, vale a dire accettare di farmi aiutare ed essere contento di ricevere questo sostegno”.
Traduzione dal francese dell’articolo “La gratitudine fa bene” apparso su Psycologie a cura di Rita Caprioglio

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